giovedì 14 settembre 2017

Il blog della speranza

Trovo incredibile la mia capacità di abbandonare tutto ciò che comincio. I blog ne sono l'esempio più lampante.
La verità è che ci sono periodi della mia vita, dalla durata variabile, in cui gradirei gestire le relazioni interpersonali con il solo linguaggio non verbale, figuriamoci se posso trovare parole ed argomenti per mettermi a scrivere. Vengo da una serie di eventi con la coda lunga ed una relativa dose di stress non indifferente. Domani saranno tre mesi che mio padre non c'è più e non riesco ancora a comprendere la realtà dei fatti. Le burocrazie e tutti i pensieri che vengono dopo non alleggeriscono il dolore, anzi, sembrano un'enorme presa per il culo. Si parla con delle persone che forse credono che qui si stia affrontando una passeggiata, non un grave lutto.
L'empatia, gente, l'empatia è una cosa importante. Anch'io vorrei fare la stronza con molti clienti, soprattutto quelli che ci trattano come pezze da piedi, incuranti del fatto che se continuano ad essere al mondo è grazie ai farmaci che gli vendiamo. Però non lo faccio, non posso permettermelo neanche con questi soggetti, figuriamoci con chi è davvero in difficoltà e vive un brutto momento. Tutta la mia solidarietà e se posso dare una mano, bene, ne sono felice. Adesso, io svolgo una professione sanitaria (anche se ufficialmente la farmacista non è considerata tale, ma vaffanculo, siamo professionisti della sanità noi, altro che!), è normale che si pretenda una certa carica empatica da parte mia, ma posso garantire che la si dovrebbe esigere da qualsiasi operatore a contatto con il pubblico, di qualsiasi categoria.

Tornando al blog, sarebbe un peccato far andare a picco un piccolo angolo della mia vita che non ha nemmeno avuto modo di decollare. Soprattutto dal momento in cui considero abbastanza buone le mie capacità di scrittura (si chiama autostima, questa?)
Tuttavia, il dilemma che mi assale ogni volta, arrivati a questo punto, è: cosa sto qui a dire?
Non sono una di quelle persone che si dedica ad argomenti specifici e può così incanalare l'attenzione su certi articoli ed un certo tipo di pubblico. Non posso pubblicare solo le foto dei miei gatti, parlare solo di cucina/alimentazione, riportare le mie disavventure in farmacia o esprimere opinioni personali (e spesso scomode) su temi di attualità.
D'altra parte, trattare di tutto questo insieme mi ha sempre dato l'idea dell'effetto "caro diario", sarà che mi ricorda i blog che avevo a quindici anni, e non credo che possa risultare una lettura interessante. E' vero, bisogna scrivere soprattutto per se stessi (e lo faccio, perché mi piace e ne ho bisogno), ma voglio anche potermi rivolgere ad un pubblico che mi lasci un feedback più o meno positivo. Insomma, si tratta di quella piccola voglia di notorietà che abbiamo un po' tutti, quella necessità di sentirsi considerati e anche un po' amati. Vogliatemi bene, che ne ho bisogno.

Certo, la maggior parte delle volte che mi siedo davanti al pc, non so di che scrivere. Mi ronzano in testa mille ricordi sbiaditi di idee che posso avere avuto durante la giornata, ma niente di concreto che si riaffacci di nuovo alla mente. E non sono il tipo che ha l'abitudine, il tempo e/o la voglia di appuntarsi i pensieri sul momento. 
"Scusi, un attimo, devo prima prendere nota della figura di merda che ho appena fatto con il cliente prima di lei, così lo posso scrivere sul mio blog."
No, non posso. Si sentirebbero scendere tutti i santi del calendario, tirati giù dai pazienti e dai miei titolari.
Così, mi dimentico le cose. Oggi, per esempio, è sicuramente successo qualcosa di interessante, ma non ricordo niente. Non ci sono emozioni che si smuovono e mi spingono a far riaffiorare alla memoria certi eventi. E' lo stesso meccanismo che non mi fa avere argomenti anche quando esco con le amiche o cose simili. 
"Che mi racconti?" "Niente."
No, niente è impossibile, lo so anch'io che non può non essere successo NIENTE, ma rimane niente di interessante o che valga la pena di raccontare. Almeno, ai miei occhi, quelli di una persona un po' apatica e che spesso soffre di depersonalizzazione.
Non credo di avere una vita oggettivamente monotona, solo che non sono in grado di vederlo. E' per questo motivo che mi intestardisco con i blog. Spero di cambiare modo di fare e trovare una strategia per sentire tutto più reale, più vissuto. Quindi, apro, chiudo, abbandono, cambio stile, vado avanti a tentativi, fino a che non riuscirò o non mollerò.
E spero di non mollare, il blog mi dà speranza.

mercoledì 14 giugno 2017

Interazioni temporo-limbiche ed altri paroloni altisonanti.

Forse accade quando sono in un posto e non mi ricordo che strada ho fatto per arrivarci. Forse quando percorro diversi chilometri in macchina, ma senza neanche accorgermene. Magari è la sensazione che provo quando mi rendo conto che sto parlando con un cliente, ma non so cosa stessi dicendo fino a quel momento e mi chiedo che filo logico abbiano percorso le mie parole, sperando di non avere sparato troppe cazzate.
Se mi sto facendo una corretta auto-diagnosi (e, giuro, mi odio quando arrivo a fare il medico internauta), questa è derealizzazione.
Si tratta di uno scollegamento tra due parti del cervello (quello temporale e quello limbico), che porta a dissociare gli eventi reali dalla risposta emotiva che generano in ognuno di noi. E' il motivo per cui, chi soffre di questo disturbo, ha la sensazione che la propria vita sia un film o un sogno.
Potrete immaginare quanto sia poco piacevole da vivere. E' come entrare in trance, prendersi dei popcorn, godersi la scena da spettatori, poi, ad un certo punto, alzarsi dalla poltroncina e riprendere possesso della propria vita. Il tutto, dubitando della qualità del servizio di pilota automatico installato.
Addirittura, per non farmi mancare niente, posso fare di peggio: non so propria cosa stessi facendo nel momento di trance. In pratica, sono tra quelli che si addormentano al cinema e si svegliano sul finale, senza sapere chi abbia aperto la camera dei segreti. Capite che diventa difficile improvvisare.
Ovviamente, non si parla di momenti vuoti, in cui si cazzeggia o si gira per casa in mutande senza una meta, quindi ti chiedi cosa ci stia facendo davanti al frigo aperto. Troppo facile. No, sono momenti seri, in cui interagisco con altre persone, sono alla guida o sto facendo qualcosa di importante.
E niente. Il mio cervello non fa altro che dissociarsi, in tutti i sensi. Basti solo pensare che, di notte, mi capita di svegliarmi mentre sto ancora sognando. Così sogno e realtà si fondono e io non riesco a muovermi. Quest'altra bellissima cosa si chiama paralisi notturna. Un altro tipo di scollegamento tra la corteccia frontale (che si attiva quando ci svegliamo) e l'area del sonno (che dovrebbe spegnersi, ma non lo fa, la bastarda). L'attività onirica e la fase di paralisi corporea (quella che ci impedisce di fare i sonnambuli) continua anche da svegli. Con conseguenze non troppo entusiasmanti.
Bene, dopo questo momento di divulgazione scientifica (ché da quando ho saputo che Piero Angela torna in attività, mi sta salendo la laurea honoris causae interna), vado a finire di evadere dalla mia vita. Netflix vi saluta.

domenica 26 marzo 2017

L'ora legale e le sue conseguenze su una psicopatica.

C'è da essere felici di quest'ora legale? No, sul serio, perché a me vengono in mente solo brutte cose.
Intanto, dormiamo un'ora in meno; una piccolissima mancanza che ci trasciniamo dietro per almeno due settimane, rendendoci più rincoglioniti del solito. In più, comincia quel periodo dell'anno in cui parto da casa col sole negli occhi e ritorno al tramonto, sempre con il sole negli occhi, dettaglio che mi rende ancora più irritabile alla guida. Quindi, sì, se ve lo state chiedendo, la mia giornata lavorativa (al lordo di un'insulsa pausa pranzo e la bellezza di quattro viaggi al giorno) dura circa 12 ore. Bello. Osservo le fantastiche giornate fuori dalla finestra, mentre sono illuminata da luci al neon e schermi dei pc, che si portano via le mie diottrie come bambine che colgono fiori di campo, e la gente ha anche il coraggio di entrare e sentenziare quanto si stia bene oggi "con questo bel sole". Ma io vi avveleno, voi, maledetti istigatori alla violenza!
Mi trascinerò dietro quest'ansia e le continue domande come "che ore sono e che ore sarebbero?", "è presto o è tardi?". Con questa sensazione di eterno anticipo (o eterno ritardo?) che alimenta la tachicardia. E l'orologio del cruscotto. Due volte l'anno mi prende l'accidente di entrare in macchina e non capire cosa stia succedendo. Non so voi, ma io lo cambio immediatamente, perché possiedo la memoria e breve termine di Dory e non voglio prendermi un colpo anche nei giorni a seguire.
Poi, a cosa serve più l'ora legale? E' stata introdotta per risparmiare sulla luce elettrica. Bene. Peccato che ormai la corrente sia in uso 24 ore su 24 per la maggior parte delle cose che facciamo (oltre che per accendere le lampadine), quanto risparmio c'è? Ma soprattutto: vale la pena di intaccare la salute mentale per risparmiare un po'?
E sì, sono incazzata, perché queste ore di luce non me le posso godere, così come questa bella primavera. Vedo una magnolia in fiore e mi viene da piangere, perché vorrei andare a stendermi lì sotto e non fare un cazzo tutto il giorno. E invece no. Corri di qua, Giada, poi di là. Fatti venti minuti di pausa pranzo e poi vola a fare altri servizi. Ogni tanto ho il tempo di chiudere gli occhi per un quarto d'ora. Quando mi sveglio non so più chi sono.
E sì, sono incazzata anche perché oggi volevo andare al mare, ma avevano messo pioggia. E invece non piove, ma ormai... Un'altra domenica passata a fare il parassita sul divano.

Ditemi che non sono la sola a impazzire. Non voglio essere l'unica a reagire al contrario rispetto al resto del mondo, che sente la primavera e va in giro con quell'aria ebete e l'ormone mosso. Anche a me si smuove l'ormone, sì, però il cortisolo, quello dello stress!

Consolatemi, vi prego!

domenica 12 febbraio 2017

Che brutto è febbraio.

Siamo in un periodo dell'anno che ci trova spesso in affanno. Abbiamo appena passato il festival di Sanremo, accompagnato dall'ennesima sfilata di tuttologi e musicologi che, per l'amor del cielo, non fatemi esprimere in proposito, perché mi sale l'olocausto.
In settimana avremo a che fare con la festa di ogni cretino. Quel beato martire di Valentino poteva anche decidere di proteggere qualcun altro. Gli innamorati. Ma dai. Al massimo acconsento di vederti come protettore degli stilisti, così almeno possiamo regalarci abiti di alta moda e siamo più contenti. E lo dico io, che al mio primo San Valentino, in prima elementare, mi sono vista regalare uno shampoo alle mandorle, il cui odore mi dava la nausea. Uno shampoo. Qual è la madre disgraziata che, nel comprare il regalino per la fidanzatina del figlio di sei anni, compra uno shampoo?
Mi pare ovvio che abbia delle buone ragioni se sono cresciuta così male.
Non contenti, sperano di agevolare i nostri disagi con quella trilogia mal riuscita delle cinquanta sfumature. Se pensano di riaccendere la passione delle coppie con quella commedia pseudoerotica (che di erotico, per quel che ne so, non ha nulla), credo abbiano sbagliato strada. Senza contare che la protagonista può rappresentare tutto fuorché la figura della donna emancipata (sia sessualmente che in generale) di cui potremmo avere bisogno.
Ecco, partendo da tutto ciò, considerando le difficoltà che la nostra generazione affronta ogni anno, in questo mese, io aggiungo il mio disagio personale: ho una settimana di tempo per trovare un regalo di compleanno ad una diciottenne.
E'. Il. Panico.
Cosa si regala ad una che compie diciotto anni oggi, nel 2017? Cosa manca alla loro generazione? Telefoni cellulari, tablet, smart TV, pc, ebook (che non leggono), reflex (che non sanno usare), abbonamenti di qualsiasi tipo, vestiti (che è meglio si comprino da soli, perché tanto noi non seguiamo gli stessi fashion blogger)... Hanno di tutto!
D'accordo, con una ragazzina potrebbe essere facile buttarsi su gioielli e oro (in modalità regalo da cresima e comunione, insomma), peccato che io le prenda sempre qualcosa di simile sia a Natale che per i compleanni. Non posso replicare anche per il diciottesimo.
Non posso neanche prendere spunto dai regali che fecero a me. Prima di tutto perché non me li ricordo tutti (sono passati dieci anni e la memoria comincia a vacillare per colpa della vecchiaia), poi faccio parte di una generazione diversa. Mi regalarono un lettore DVD ed ero già la ragazzina più felice del mondo perché potevo guardare in camera mia tutti i film che andavo a noleggiare da blockbuster!
Tra parentesi: esiste ancora blockbuster o ha chiuso per fallimento per colpa di megavideo? Che a sua volta, come sappiamo bene, ha chiuso per colpa del governo federale.
E comunque, rimane complesso rapportarsi agli adolescenti di oggi, bastano così pochi anni per rimarcare un gap generazionale impensabile. Che poi, io neanche me lo ricordo cosa facevo e cosa volevo a diciotto anni (a parte la patente, s'intende) e non mi sembrava neanche di averli compiuti, così come adesso non mi sembra di doverne compiere ventotto. Però, mi piacerebbe riuscire a capire come funziona il mondo di queste donnine e questi omini. Così, anche solo per poter dire loro quanto sono avanti rispetto a noi o quanto non abbiano ancora capito un cazzo dalla vita.

lunedì 30 gennaio 2017

Prima di arrabbiarti, conta fino a dieci. Poi picchia qualcuno.

Alla maggior parte della nostra generazione hanno insegnato che ci si deve comportare per bene, con educazione, essere cortesi, salutare e dire sempre "grazie", "scusi" e "per favore".
Noto, con dispiacere, che siamo in netto svantaggio.
Sul posto di lavoro, a scuola, con i superiori, gli sconosciuti, quelli "più grandi", dobbiamo sempre mostrarci disponibili, sorridenti e così ignorantemente giulivi, da far credere a chiunque che potrà farci cadere un'incudine sul piede e noi, comunque, lo ringrazieremmo. Se poi si lavora in un luogo pubblico? Apriti, cielo! Pretendono prodotti, servizi, soldi, sudore, sangue, lacrime e (se aggiungi una piccola firmetta qua in fondo) anche l'anima. Però puoi dilazionare la consegna in piccole rate mensili. E le senti tutte, sono quelle piccole, ma intensissime, fitte al fegato. La maxirata finale è prevista per quando tiri le cuoia.
Ora, siamo sinceri, abbiamo la fortuna di trovarci di fronte anche individui con una formazione parentale simile alla nostra, che vedranno nei nostri occhi tutti quei vaffa imbustati, francobollati, ma mai spediti ai rispettivi destinatari. Con un moto di gioia tipico del mal comune, mezzo gaudio, ci doneranno sostegno, un sorriso, magari un paio di chiacchiere e riconoscenza. Quando troviamo una persona così (anche se di passaggio e che non incontreremo mai più), abbiamo l'opportunità di lasciare andare un po' dei nostri problemi, così come faranno loro, e il bello è che non è uno scambio; io non mi libero di un peso per cederlo a te e tu non posi il tuo macigno sulle mie spalle. No, tutto evapora, sparisce. Il conto si azzera, ricomincerai a contare quando arriverà il prossimo coglione.
Perché arriverà, lo sappiamo, presto o tardi, ma sicuro come la morte o come il fatto che tutti abbiamo bisogno di espletare dei bisogni fisiologici. Ti si pareranno davanti come gli unici privilegiati nel cui giardino cresce l'erba voglio e tu, in quel momento, penserai al solo tipo di erba che potrebbe darti un po' di sollievo e stamparti in faccia un sorriso automatico, estremamente ebete, ma senza sforzi.
Non tratterai male nessuno, perché non te l'hanno insegnato e perché sai già che ci sarebbero conseguenze poco piacevoli per te, che non hai mai il karma dalla tua parte. Ricomincerai a contare. Fino a dieci? No... Cento, mille, un milione, conterai tutto il giorno se serve, poi andrai a casa ad azzerare il contatore.
Il problema è che, per azzerare il contatore, deve avvenire un'esplosione di entropia (con un'intensità direttamente proporzionale alle brutte parole trattenute) che rischia di coinvolgere persone che non c'entrano nulla con la tua rabbia. Compagni, amici, genitori, che a loro volta potranno avere avuto una giornata storta, non meritano di essere sopraffatti da tutto lo schifo che ti scrolli di dosso.
Non so voi, ma se il mio cane è sporco di fango e, per scrollarsi, mi fa arrivare gli schizzi sui vestiti puliti, mi incazzo e non poco. Quindi, sarebbe carino trovare un modo alternativo per rilassarsi e lasciare sfiatare lentamente la pressione. Può essere un corso in palestra, un bicchiere di vino, ascoltare buona musica, farsi una gran mangiata o vedere bel un film splatter.
Oppure potete chiudere gli occhi, contare fino a dieci, picchiare a sangue la persona che vi sta facendo dannare, poi riaprire gli occhi e rendervi conto che avete soltanto immaginato tutto. Allora sì che sarete capaci di sorridere, maliziosi, all'idea che, se proprio non ce la farete più, potrete mettere in atto quanto appena pensato.